SETTIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
“A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano” (Lc 6,27-28). Queste parole di Gesù che leggiamo oggi nel Vangelo della Messa toccano il vertice del comandamento dell’amore verso il prossimo. Di fronte a questo insegnamento, tra i più celebri e sconvolgenti del Vangelo, ci sentiamo a disagio, vedendoci così lontano dall’ideale propostoci dal Maestro divino. Dopo duemila anni di cristianesimo, l’umanità non ha fatto che pochi passi nel comprendere e vivere il grande comandamento della carità. La vendetta e l’odio, le guerre e le ingiustizie dominano tuttora la scena del nostro mondo. Nella pagina odierna del Vangelo, Gesù annuncia un amore capace di spezzare la spirale della prepotenza, dell’odio, della violenza: è il comandamento della Nuova Alleanza con cui Egli ordina a noi suoi discepoli di amare i nemici, di benedire coloro che ci maledicono, di pregare per coloro che ci maltrattano, di non opporre resistenza a chi cerca di espropriarci anche del necessario e di chi approfitta della nostra bontà.
La prima lettura di questa domenica ci offre in Davide un esempio luminoso di perdono. Perseguitato a morte dal re Saul per invidia, Davide ha l’occasione propizia per liberarsi del suo avversario: di notte, riesce ad entrare nella tenta del re mentre questi dorme, ma non lo fa. Poi da lontano dice a Saul: “Oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore” (1Sam 26,23). Davide compie un gesto magnanimo di perdono e non si lascia prendere dalla vendetta e dall’odio, perchè egli vede in Saul non un nemico, bensì il “consacrato” del Signore, in quanto re d’Israele.
Viene da chiedersi: come mai Gesù, pur conoscendo il cuore dell’uomo incline all’odio e alla vendetta, abbia richiesto al cristiano un amore così esigente e radicale, fino all’amore dei propri nemici? La risposta la troviamo nel Vangelo di oggi: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). Il Maestro divino, con queste significative parole, c’insegna che la ragione ultima per cui dobbiamo amare i nemici è l’ammirabile condotta di Dio, il quale ama tutti gli uomini di amore infinitamente gratuito e misericordioso. Il cristiano, per essere e vivere come figlio del Padre Celeste, deve seguire l’esempio divino, imparando a perdonare, a non vendicarsi per un torto subito, a essere paziente e benevolo verso tutti, a vedere nel nemico un fratello, un figlio che Dio ama. In un mondo dove domina il criterio della vendetta e dell’egoismo, solo la logica dell’amore gratuito e disinteressato può eliminare fin dalle radici l’odio e la violenza, e creare nuovi rapporti tra gli uomini. Gesù, col dono della sua vita sulla croce, ha spezzato per primo la catena dell’odio, offrendoci un esempio sublime di amore senza limiti.
Credo che proprio questa sia la strada che conduce alla “civiltà dell’amore” di cui il Papa ci ha parlato ripetutamente in questi ultimi tempi. Prima che l’umanità sia sommersa dalla valanga della violenza e dell’odio, bisogna ricostruire in noi “l’immagine dell’uomo celeste” (1Cor 15,49), come ci ricorda san Paolo nella seconda lettura, ossia rivestirci di Gesù, imitando i suoi esempi. La nostra somiglianza con Lui raggiunge la perfezione nell’amore verso il prossimo. Il primo passo che conduce il cristiano sulla via del perdono e dell’amore del nemico consiste nello spezzare la logica del male, perdonando senza rispondere al male col male, perché non entri nel cuore il veleno della vendetta e dell’odio. I passi successivi consistono nel pregare per coloro che ci maltrattano, nel dimenticare il male ricevuto, e infine, nel trovare qualche occasione di far loro del bene.
I Santi hanno raggiunto i vertici più alti dell’amore verso il prossimo. Non si sono contentati soltanto di perdonare o di non offendere il prossimo, ma si sono disposti a soffrire ogni cosa, finanche a dare la propria vita. Chi non ricorda l’amore ardente per le anime che nutriva Padre Pio? Era come fuoco che bruciava continuamente il suo cuore, era “fuoco divoratore” che per cinquant’anni ha consumato la sua vita, come ebbe a scrivere egli stesso nel cinquantesimo della sua professione religiosa. Considerava sua missione vincere tutti con l’amore per portarli tutti a Dio; e la sofferenza più grande che lacerava il suo cuore era l’impossibilità di conquistarli tutti. “Voglia il dolcissimo Signor nostro – scrive il Santo del Gargano - scomunicarmi, separarmi da lui, (…); mi cancelli pure dal libro della vita, purchè salvi i miei fratelli ed i miei compagni di esilio” (Epistolario II, p. 80-81). Seguiamo l’esempio di san Pio e adoperiamoci perché nel mondo non trovino più posto l’odio e la violenza ma regnino il perdono e l’amore santo di Dio.