QUINTA  DOMENICA  DI  PASQUA

 

L’uomo ha sempre desiderato di vivere in un mondo senza ingiustizie, violenze, soprusi, in un mondo dove regna soltanto la felicità. Filosofi e politici di tutti i tempi hanno tentato inutilmente di costruire questo tipo di umanità nuova, inventando teorie e ideologie di ogni genere. Ma la storia c’insegna che tutti i tentativi compiuti nella stolta presunzione di realizzare questo profondo anelito dell’uomo tenendosi lontano da Dio, sono falliti miseramente. In realtà, la ristrutturazione dell’umanità e dell’universo, dopo le rovine causate dal peccato, è un progetto dell’amore infinito di Dio, a cui l’uomo è chiamato a inserirsi e a collaborare per la sua piena realizzazione.

A queste profonde aspirazioni dell’uomo rispondono le letture di questa domenica, presentando alla nostra riflessione quelle stupefacenti novità di vita introdotte da Cristo con la sua Risurrezione. L’apostolo Giovanni, nel passo dell’Apocalisse riportato oggi dalla seconda lettura, ci descrive la stupenda visione delle realtà nuove che ci attendono alla fine dei tempi: “Io, Giovanni, vidi un nuovo cielo e una nuova terra” (Ap 21,1). Davanti ai suoi occhi si apre la scena non più di questo mondo visibile ormai passato, ma quella di mondo completamente rinnovato: “Vidi la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere da Dio” (ivi, 2)). La “Gerusalemme celeste” appare nella pienezza del suo splendore, ma non come una conquista dell’uomo, bensì come un dono dell’amore di Dio alla nuova umanità. Nella “nuova Gerusalemme” è raffigurata la Chiesa che, purificata dalle sofferenze terrene, viene ora presentata da Dio al suo Figlio glorioso “come una sposa adorna per il suo sposo” (ivi). La Città santa sarà la definitiva “dimora di Dio con gli uomini” (ivi, 3). In tal modo si adempirà la promessa del Signore: rimanere per sempre con gli eletti in una comunione perfetta di vita e di amore, permettendo all’uomo di raggiungere finalmente la meta della vera felicità che non avrà mai fine.  

Questa consolante visione di un mondo nuovo dove “non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né affanno” (ivi, 4) costituisce la grande speranza cristiana e l’appagamento di tutti i desideri dell’uomo. La forza che realizza questo progetto di Dio e che tende a trasformare l’umanità e il mondo in novità divina è l’amore. Tutta la storia della salvezza ha inizio dall’amore senza limiti di Dio verso l’uomo, diventa amore visibile nell’Incarnazione del Figlio di Dio, amore filiale e totale per il Padre e l’umanità con la sua morte in croce, e avrà termine nella “Gerusalemme celeste” con il trionfo definitivo dell’amore di Dio sull’odio e su ogni male che affligge al presente l’umanità.

La futura “Città celeste” è un traguardo da raggiungere, ma anche da preparare già da questa vita. Requisito per entrarvi è l’amore. A questo ci richiama il breve ma ricchissimo brano del Vangelo di oggi. Il Maestro divino, nell’Ultima Cena, dopo aver dato agli Apostoli un esempio sublime di servizio lavando loro i piedi, lascia in eredità ai credenti il “comandamento nuovo” dell’amore: “come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 10,34). Gesù vuole che il cristiano raggiunga la carità  più alta e perfetta, amando il prossimo con la stessa smisurata grandezza, “follia” e gratuità del suo Cuore divino. Ma, guardando indietro nella storia, ci accorgiamo che il mondo fino ad oggi non ha fatto progressi nella via della carità. Gli uomini troppo spesso si comportano ancora da lupi rapaci e nel cuore perfino di molti cattolici regnano ancora l’odio, la vendetta, la violenza, l’egoismo. Per i primi credenti, la carità era la forza che li teneva uniti tra loro, il segreto del loro instancabile zelo apostolico e della rapida espansione del cristianesimo. Così dovrebbe essere anche per i cristiani del nostro tempo. Il mondo d’oggi ha urgente bisogno di coraggiosi testimoni che, come i Santi, sappiano dimostrare con la vita l’amore sommo di Dio per noi e la carità senza limiti verso il prossimo.

Tra tanti impareggiabili modelli di Santi emerge Padre Pio da Pietrelcina che ha raggiunto le vette più sublimi dell’amore al prossimo in quella misura ultima di carità che lo ha trasfigurato e  identificato anche esternamente a Gesù. Profonde e incisive sono le espressioni utilizzate dal nostro Santo per definire la carità e incoraggiarla a vivere. Eccone una fra tante: “Crescete sempre e mai  vi stancate di avanzarvi nella regina di tutte le virtù, la carità cristiana. (…) Abbiatela cara assai, più ancora della pupilla degli occhi vostri” (Epistolario II, p. 383-4). La carità verso Dio e i fratelli è la virtù più grande, più importante e più preziosa, come la pupilla degli occhi.. Chi offende Dio nella carità, l’offende nella pupilla dei suoi occhi. Senza la carità, infatti, non si può piacere a Dio.

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