DOMENICA  XXIII  DEL  TEMPO  ORDINARIO

 

Oggi è di moda pensare che tutti si salvano, che tutti vanno in Paradiso. E si giustifica questo falso concetto dell’amore di Dio col dire che il Signore è misericordioso. In realtà, è una grave e pericolosa interpretazione del mistero della Redenzione. Se è vero che la salvezza è un dono di Dio e che Dio è misericordioso, è altrettanto vero che senza la conversione del cuore è impossibile salvarsi. La Liturgia di questa domenica ci aiuta a risolvere l’equivoco. Ed è soprattutto il brano del Vangelo che ci indica con chiarezza le condizioni assolutamente necessarie per raggiungere la salvezza eterna: seguire Gesù tenendo il cuore distaccato da ogni realtà terrena, e imitarlo nel portare la croce.

L’occasione di parlare su questo argomento si presenta a Gesù mentre è in viaggio verso Gerusalemme. Rivolgendo la parola alla numerosa folla che lo segue, dice loro: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). E’ questa la prima condizione per la salvezza. A prima vista le parole di Gesù appaiono dure, anzi impossibili da accettare e praticare. In realtà, il Maestro non ci chiede di trasgredire il quarto comandamento, ma vuol farci comprendere tutta la radicalità del distacco del cuore richiesto per incamminarci sui passi di Gesù. Seguire Cristo significa porre l’amore verso Dio e il suo Regno al primo posto, al di sopra anche degli affetti più cari, ossia dell’amore verso il padre, la madre, la moglie, i figli e perfino della propria vita. I vincoli della famiglia umana, sebbene importanti, non sono assoluti. Difatti, attraverso la fede e il Battesimo, entriamo a far parte della famiglia di Dio. Questa nuova realtà crea in noi vincoli eterni di figliolanza divina che occupano di conseguenza il primo posto nella nostra vita, rispetto a tutti gli altri legami, familiari o sociali. Alla luce di questa ineffabile verità, comprendiamo le parole che san Paolo, nella seconda lettura, indirizza ad un padrone cristiano. Gli raccomanda di trattare il suo schiavo divenuto cristiano “non più come schiavo, ma molto di più che schiavo, come un fratello carissimo (…), come fratello nel Signore” (Fil 9,16).

La seconda radicale esigenza richiesta da Gesù a coloro che vogliono seguirlo è di imitarlo portando la croce con Lui e per Lui: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo” (ivi, 27). Non basta seguire il Maestro col cuore distaccato da ogni affetto terreno, ma è necessario altresì imitare e modellare la propria vita su quella di Lui. Imitando il fulgido esempio di vita povera, umile, obbediente, mortificata di Gesù, comprenderemo  meglio il perché della nostra scelta di seguirlo e ci sentiremo incoraggiati a sacrificare ogni cosa, anche la nostra vita, fino alla piena conformità di tutto il nostro essere alla sua Persona divina.

            Nell’ultima parte del Vangelo, Gesù, per sottolineare la serietà della scelta di seguirlo in modo libero e consapevole, ci racconta due parabole: quella di chi si appresta a costruire una torre e l’altra del re che dichiara guerra a un altro re. Queste ci insegnano che quando si intraprende una impresa, è necessario valutarne le difficoltà e i mezzi per portarla a termine. Essere discepolo di Cristo e seguirlo fedelmente fino alla fine è l’impresa più grande e più importante della vita. E’ una impresa da cui dipende la stessa salvezza eterna, per cui deve essere affrontata con intelligenza e con seria riflessione. E’ da stolti sottovalutarla o non tenerne conto, perché non esiste nessun altra via per giungere alla vita eterna se non il mettersi al seguito di Gesù. Se dunque decidiamo di seguirlo e di imitarlo lungo la strada della sofferenza e della croce, possiamo dire con sicurezza di essere sulla via della salvezza e della gloria  beata del Cielo.

            Padre Pio da Pietrelcina è stato un grande innamorato di Cristo Crocifisso. Seguirlo, imitarlo, possederlo è stata la passione, l’ideale della sua esistenza. Lo ha seguito fedelmente. Lo ha amato di amore unico e intenso. Lo ha imitato, conformandosi a Lui in tutto, fino a divenirne una copia, anche esterna, mirabile e perfetta. In una lettera, il nostro Santo ci insegna, con poche frasi, come camminare sui passi di Gesù: “L’esemplare su cui bisogna rispecchiarci e modellare la vita nostra si è Gesù Cristo. Ma Gesù ha scelto per suo vessillo la croce e perciò egli vuole che tutti i suoi seguaci devono battere la via del Calvario, portando la croce per poi spirarvi su di lei. Solo per questa strada si perviene a salvezza” (Epistolario III, p. 243). Chiediamo al Serafino del Gargano, che si è fatto Cireneo con Gesù per le iniquità del mondo e ha condiviso come pochi il mistero salvifico della sofferenza di Cristo, la grazia di non allontanarci mai da Gesù, di seguirlo fedelmente  e di imitarlo fino alla nostra piena trasformazione in Lui.

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