DOMENICA  30  DEL  TEMPO  ORDINARIO

In continuità col tema della scorsa domenica sulla necessità di pregare sempre, la Liturgia oggi prosegue il suo insegnamento sulla preghiera, presentandocene un altro aspetto importante: come pregare, ossia, come porsi in dialogo di fronte a Dio. La risposta ci viene dalle letture bibliche della Messa: la preghiera vera è quella fatta con umiltà. Il Signore, infatti, ascolta solo la preghiera di coloro che si rivolgono a Lui con animo umile e contrito. Già nella prima lettura troviamo chiaramente espresso questo tema. L’autore del passo riportato ammonisce gli ascoltatori a non lasciarsi ingannare: Dio è giudice giusto e imparziale e non si lascia corrompere da nessuno. Il Signore rifiuta la preghiera di coloro che gli offrono un culto solo esterno di sacrifici e accetta, invece, quella del povero e dell’umile. Con incisiva immagine, l’autore afferma che “la preghiera dell’umile penetra le nubi, finché non sia arrivata” (Sir 35,17); essa è onnipotente presso Dio, perciò ottiene grazia e giustizia.

L’insegnamento di Gesù sul come pregare ci viene offerto dal Vangelo odierno per mezzo di una parabola molto significativa, incentrata su due personaggi completamente diversi, anzi opposti: un fariseo e un pubblicano. I due uomini – dice la parabola -  “ salirono al tempio a pregare” (Lc 18,10). Il fariseo, in piedi, a testa alta, con le braccia sollevate verso il cielo, si sente nella posizione giusta per pregare, e inizia con la preghiera più bella, quella del rendimento di grazie a Dio. Ma tale è solo in apparenza. In realtà, è un pretesto per lodare se stesso: si compiace  delle buone opere che compie, di essere giusto, di non essere come gli altri. Al contrario, il pubblicano “fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore” (ivi, 13). In queste brevi parole è racchiuso tutto l’insegnamento di Gesù sul modo giusto di pregare.

Dal racconto della parabola ci rendiamo conto che, benché ambedue siano saliti al tempio a pregare, uno di loro, il fariseo, in realtà non ha pregato. La sua preghiera non è stato un dialogo di amore con Dio, ma con se stesso. Nella sua preghiera non c’é stata umiltà, ma solo soddisfazione e compiacenza di se stesso: egli si ritiene un giusto. Completamente diversa, invece, è la preghiera del pubblicano. Questi è consapevole della sua miseria morale, si riconosce peccatore e perfino indegno di stare alla presenza di Dio. Non osa neppure alzare gli occhi al cielo e, pentito delle sue colpe, chiede di essere perdonato. Ed ecco la conclusione sconcertante di Gesù: “Vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro” (ivi, 14). E’ questo un grande insegnamento che Gesù oggi ci offre: nessuno può dichiararsi giusto. Solo Dio ci rende giusti col dono della sua Grazia, anche se è necessaria la nostra corrispondenza. Tutti abbiamo continuamente bisogno del suo perdono. I Santi sono i primi a considerarsi i più grandi peccatori.

La parabola ci indica, inoltre, che dobbiamo pregare con umiltà di cuore. La preghiera del pubblicano piacque al Signore, proprio perché scaturita da un cuore umile e pentito. Di conseguenza, l’atteggiamento che dobbiamo tenere dinanzi a Dio è di riconoscere la nostra miseria e di ricorrere a Lui come figli sempre bisognosi del suo perdono. La preghiera presuntuosa dei superbi, invece, è respinta da Dio. Questo è un forte richiamo per tanti cristiani del nostro tempo che hanno la presunzione di sentirsi già a posto in coscienza, e di essere giusti davanti a Dio solo perché non rubano, non uccidono o perché fanno qualche opera buona. E’ un grave errore e un modo falso di vivere il cristianesimo. Se non riconosciamo di aver bisogno di essere guariti da Gesù, nostro Medico divino, resteremo con i nostri mali nell’anima; e mancando in noi il pentimento sincero, non otterremo mai dal Signore il suo perdono. Questo atteggiamento presuntuoso del fariseo è stato condannato apertamente da Gesù.

Negli scritti di Padre Pio troviamo pagine interessanti sulla preghiera umile e fiduciosa. Il Santo tratta con grande competenza il tema, e ci fa comprendere, da esperto, il ruolo e l’importanza che essa occupa nella vita del cristiano. Egli afferma che la preghiera dell’umile di cuore è la più potente che si possa innalzare a Dio e che certamente raggiunge il suo Cuore. E’ una forza che disarma Dio. “La potenza di Dio, - scrive il Santo - è vero, di tutto trionfa; ma l’umile e dolente preghiera trionfa di Dio medesimo” (Epistolario II, p. 486). Se tanti cristiani conoscessero questa verità e ne facessero esperienza, quanti frutti maggiori di santità si troverebbero in essi! La preghiera fatta con umiltà e compunzione di cuore, - dichiara ancora il Santo - è il segreto per ottenere da Dio qualsiasi grazia. Seguiamo il suo consiglio per il bene della nostra anima.

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