DOMENICA  XXXII DEL  TEMPO  ORDINARIO

 

            La Liturgia del giorno ci invita a riflettere su una verità che la Chiesa ha sempre insegnato e che fa parte del Credo che professiamo: la risurrezione dei morti. L’importanza del tema proposto alla nostra riflessione si evince dal fatto che oggi viviamo in una società materialista, dove si respira poca aria spirituale, per cui non è raro, purtroppo, trovare, anche cattolici, che esprimono dubbi sulla verità della nostra futura risurrezione e sull’esistenza stessa della vita eterna. Cogliamo, perciò, l’occasione che la Chiesa ci offre per consolidare la nostra Fede su questa importantissima verità.

            Nell’Antico Testamento la verità sulla risurrezione dei morti si è sviluppata lentamente. Tuttavia nel secondo secolo prima di Cristo era già comunemente conosciuta e professata. Il testo riportato dalla prima lettura ha una importanza straordinaria, perché è la prima volta che viene esplicitamente affermata. Il brano narra il commovente episodio del martirio dei sette fratelli maccabei. Sostenuti dall’eroica madre, uno dopo l’altro essi affrontano il martirio con coraggio, confessando apertamente che Dio, con la sua potenza, un giorno risusciterà i loro corpi da morte. “E’ bello morire a causa degli uomini, – dichiara uno dei fratelli prima di morire - per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da lui di nuovo risuscitati” (2Mac 7,14).

            Ma è soprattutto nel Vangelo che la verità sulla risurrezione dei morti trova la sua piena ed esplicita rivelazione. Ai tempi di Gesù, solo la setta dei Sadducei non accettava questa verità. E sono proprio questi che, come leggiamo nel Vangelo odierno, pongono al Maestro la complicata e ridicola questione di una vedova che, secondo la legge mosaica, dopo la morte del marito, non avendo figli, va in sposa a sei fratelli del marito. “Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie?” (Lc 20,33). Stupenda è la risposta di Gesù: “quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (ivi, 35-36).

Le affermazioni di Gesù fanno luce sul mistero della risurrezione dei morti. Le sue divine parole ci riempiono il cuore di speranza e di gioia, poiché ci assicurano dell’esistenza di una vita eterna e che un giorno risorgeremo alla vita nuova di Dio. Il battezzato, infatti, porta con sé il seme dell’immortalità, ossia tutto il suo essere, anima e corpo che è consacrato al Signore, è destinato alla vita eterna e beata del cielo. Quale meravigliosa ricompensa aspetta il cristiano! Come dovremmo ringraziare il Signore per questo immenso dono! Non ne apprezzeremo mai abbastanza il suo valore e la sua grandezza! Gesù, inoltre, ci insegna che la vita eterna è completamente diversa da quella terrena. In questo mondo le realtà terrene hanno la loro importanza; nell’aldilà, invece, davanti alla luce sfolgorante della gloria di Dio, non avranno più alcun valore. Coloro che sono ammessi alla beatitudine eterna di Dio, “non prendono moglie né marito; (…) perché sono uguali agli angeli”, afferma Gesù, e, come questi, hanno un unico desiderio: lodare, amare e contemplare in eterno il Signore.

            Gesù nel Vangelo parla dei “figli della risurrezione”  Chi sono? Tutti i cristiani sono figli della risurrezione, perché sono figli di Dio. Con il Battesimo, infatti, siamo chiamati a condividere per sempre la vittoria di Cristo sulla morte e la sua gloria immortale. La grandezza del dono, però, che ci viene dal battesimo non deve farci dimenticare che per entrare nella  gloria eterna del cielo, dobbiamo rimanere fedeli e uniti a Cristo sulla terra condividendo la sua vita di sacrificio, di umiltà e di rinunzia. A questo ci richiama anche Padre Pio con queste espressive parole: “Ora se pel battesimo ogni cristiano viene a morire alla prima vita ed a risuscitare alla seconda, dovere di ogni cristiano adunque è di cercare le cose del cielo, nulla curandosi delle cose di questa terra” ( Epistolario II, p. 229). San Pio ci richiama a rinnegare “la prima vita”, ossia quella del peccato e del “vecchio uomo”, fatto di passioni e di natura corrotta che ci inclinano continuamente al male, e poi di orientare decisamente la nostra vita verso le realtà celesti, considerando le cose di questo mondo di secondaria importanza.

La realtà della morte su cui la Chiesa ci fa meditare in questo mese di novembre, ci aiuti a distaccarci dalle cose della terra e a tenere sempre lo sguardo rivolto verso le realtà future che ci aspettano, per non essere impreparati a ricevere dal Signore il dono dell’eterna salvezza.

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