DOMENICA DELLE PALME
Oggi, domenica delle Palme, ha inizio la Settimana Santa che, secondo la tradizione, viene chiamata anche la “grande Settimana”, sia perché in essa si celebrano i misteri più grandi della nostra Redenzione, sia perché da essa abbiamo ricevuto i beni più grandi e ineffabili della nostra salvezza. La Liturgia di questa domenica inizia con la processione delle Palme, che ci ricorda l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme: una folla immensa di bambini e adulti va incontro al Salvatore con acclamazioni di giubilo, riconoscendolo “Figlio di Davide”, Inviato di Dio e Messia. Ma Gesù non entra nella Città Santa da trionfatore e conquistatore di popoli, bensì come un re mite, umile e mansueto, a dorso d’un asinello, secondo la profezia di Zaccaria: “Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma” (Mt 21,5). L’umile incedere di Gesù verso Gerusalemme nasconde, in realtà, il mistero profondo della sua regalità divina ed eterna che si realizzerà pienamente quando, morendo sulla croce, trionferà per sempre sul peccato e sulla morte. Uniamoci anche noi oggi alla folla dei fedeli e, con i rami benedetti, accompagniamo il nostro divino Salvatore, e offriamogli l’omaggio della nostra fede, proclamandolo Messia e Redentore.
Con le letture della Messa di oggi, ha inizio la seconda parte della Liturgia, tutta incentrata sul mistero della Passione di Gesù. Già il testo di Isaia, riportato nella prima lettura, ci introduce nel vivo di questo mistero. Il profeta, vissuto diversi secoli prima di Cristo, descrive, con precisione impressionante di particolari, la figura del Messia attraverso il misterioso Servo del Signore che, nel soffrire la sua Passione, non si ribella, né oppone resistenza ai persecutori, ma si lascia colpire, presentando “il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che gli strappavano la barba (…); la faccia agli insulti e agli sputi” (Is 50, 5,7). A questo profondo mistero fa riferimento anche san Paolo nel testo stupendo della seconda lettura del giorno. L’Apostolo afferma che il Figlio di Dio, proprio per attualizzare il piano di salvezza voluto dal Padre “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo (…); umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,7-9). La via dell’umiltà e dell’annientamento scelta da Gesù, attraverso l’obbedienza assoluta e perfetta alla Volontà del Padre, raggiunge il suo culmine nel momento della morte ignominiosa della croce.
Il racconto del Vangelo odierno ci fa rivivere istante per istante le scene terribili della “Passione” del Redentore. E’ l’ora delle tenebre. L’odio satanico dei suoi nemici infuria e si accanisce contro l’uomo dei dolori, riducendolo a un verme, secondo la profezia di Isaia: viene tradito, deriso, flagellato, schernito e crocifisso come un malfattore e un reietto della società, senza che dalla sua bocca esca un lamento, una imprecazione, una maledizione. Nessun altra pagina della Bibbia rivela con pari profondità il mistero dell’amore infinito di Dio e della malvagità dell’uomo. Di fronte a quel Corpo esanime e sfigurato, inchiodato sulla croce, vogliamo chiedere perdono, dal profondo del nostro cuore, per la morte orrenda che gli abbiamo causato con i nostri peccati. In quelle piaghe, dobbiamo saper leggere le nostre colpe di orgoglio, di ribellione, di impurità, di odio, di infedeltà. Non sono poche le volte che diventiamo traditori come Giuda, bestemmiatori e spergiuri come Pietro, paurosi come gli apostoli, ambigui e ingiusti come Pilato, satanici come i capi del popolo.
In questi giorni della Settimana Santa, mettiamoci spesso in ginocchio davanti a Gesù crocifisso per contemplare con profonda fede il segno dei chiodi, le trafitture e ogni piaga di quel Corpo divino. Trascorriamo questi giorni santi accanto alla Vergine Maria, nostra Corredentrice che sul Calvario partecipò in modo unico all’immolazione del Figlio con l’offerta di se stessa. Lei ci darà la grazia di comprendere la gravità dei nostri peccati, e ci insegnerà a essere sempre fedeli al suo Figlio. Facciamo nostra questa ardente preghiera di Padre Pio: “Oh Gesù mio, potessi amarti, potessi patire quanto vorrei e farti contento e riparare in un certo modo alle ingratitudini degli uomini verso di te!” (Epistolario I, p. 328). Seguiamo l’invito del nostro Santo: disponiamoci a riparare i peccati nostri e della intera umanità con l’impegno di una vita nuova, tutta piena d’amore verso il divin Salvatore, e soprattutto con l’offerta quotidiana dei nostri sacrifici e, se sarà necessario, della nostra stessa vita, come segno di piena partecipazione alla “Passione” di Gesù e della nostra Madre Corredentrice.