XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Con la parabola delle dieci vergini, che oggi la Liturgia propone alla nostra meditazione, ci immettiamo nel cosiddetto “discorso escatologico” di Gesù (capp. 24-25), nel quale alle profezie sulla distruzione della città santa e sulla fine del mondo fa seguito l’insegnamento sulla vigilanza richiesta al cristiano. Tale dottrina è esposta dal Signore in tre parabole (la parabola del servo fedele, la parabola delle dieci vergini e la parabola dei talenti). Il “discorso escatologico” termina con l’insegnamento di Gesù sul giudizio finale (Mt 25, 31-46) che, molto opportunamente, la Liturgia inserisce nell’ultima domenica del Tempo ordinario dove la fine dell’Anno liturgico vuol rappresentare la fine dei tempi e il ritorno del Signore quale supremo giudice dei vivi e dei morti.
Nella parabola delle dieci vergini il Signore usa una scena di nozze, tanto frequente nel mondo ebraico, per ribadire la necessità della vigilanza nell’attesa del giudizio finale. Secondo la tradizione ebraica, nella cerimonia di nozze, un corteo formato da amici dello sposo e amiche della sposa andava a prendere la sposa a casa di suo padre e, con lampade accese, la conduceva a casa dello sposo dove, giunto lo sposo, si teneva la cena nuziale. Le dieci vergini della parabola, dunque, attendevano lo sposo, ma non tutte con la medesima vigilanza: cinque infatti avevano poco olio nelle lampade. La tradizione ha ravvisato nelle lampade il simbolo della fede e nell’olio il simbolo della carità che, sola, ammette al banchetto del cielo. Dunque le vergini stolte avevano la fede (le lampade) ma non la carità (l’olio) e, per questo, non furono ammesse al banchetto. È quanto afferma s. Giacomo: “(…) a che serve a uno dire cha ha la fede, se non ne ha le opere? Lo potrà forse salvare tale fede? (La fede) se non ha le opere è morta in se stessa” (Gc 2,14.17). Dunque come la lampada senza l’olio è spenta, così la fede senza la carità è morta.
Bisogna ben comprendere che la parabola delle dieci vergini, con tutta la suggestiva bellezza e l’arcano incanto che da essa promana, non è indirizzata solo alle anime consacrate, come spesso si tende a credere. Essa è rivolta ad ogni fedele, la cui anima – al di là dello stato di vita – è in attesa dello Sposo divino che, se l’avrà meritato, le schiuderà le porte del Regno dei Cieli, dove il matrimonio non esisterà perché gli uomini saranno come “angeli di Dio (Mt 22,30).
Il Signore dunque esorta a tener le lampade accese, con una cospicua riserva d’olio, perché non si spengano; esorta dunque alla vigilanza perché non sappiamo in qual giorno “il Figlio dell’uomo verrà” (Mt 16,27). La vigilanza consiste anzitutto nell’osservanza dei comandamenti, nella preghiera, nella mortificazione, nella pratiche di tutte le virtù cristiane.
Va notato che l’epilogo della parabola, con le vergini stolte che rimangono infelicemente fuori del banchetto, non si riferisce alla vita eterna, ma agli ultimi istanti della vita terrena, quando, in attesa della venuta del Signore, si vorrebbe recuperare il tempo sciupato nel corso della vita, ma non si può! Alla resa dei conti, cioè al fatidico momento del trapasso che verrà per tutti, quante cose si vorrebbe aver fatto, mentre ci si trova ormai a mani vuote e il tempo è compiuto! Per questo l’omiletica di un tempo insisteva tanto sull’importanza dei cosiddetti novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso). E ciò faceva con infinita saggezza. “Nella vita dell’uomo, niente è più certo della morte e niente più incerto del giorno della morte”, avvertiva s. Alfonso. Di qui la necessità di non sonnecchiare in una vita mediocre, fatta di continui compromessi e cedimenti, servendo un po’ Dio e un po’ il mondo. Non è questa la vita di un vero cristiano in attesa dello Sposo e del Giudice!
Padre Pio era inesorabile con i suoi figli spirituali quando si trattava di scuoterli dal torpore di una vita cristiana mediocre, negando spesso anche l’assoluzione sacramentale per esortarli alla necessaria vigilanza. “La presente vita – scrive nel 1918 ad una figlia spirituale – non ci è data se non per acquistare l’eterna, e per mancanza di questa riflessione fondiamo i nostri affetti in quello che appartiene a questo mondo, nel quale andiamo passando; e quando bisogna lasciarlo ci spaventiamo e ci turbiamo. Credetemi (…), per vivere contenti nel pellegrinaggio, bisogna aver presente agli occhi nostri la speranza dell’arrivo alla nostra patria, dove eternamente ci fermeremo (…) (Ep III 725s).
Le vergini stolte, in effetti, furono tali per quella “mancanza di riflessione” – per dirla con Padre Pio – sulle realtà future che invece fu propria delle sagge.
La Chiesa costantemente c’invita alla considerazione delle realtà future e alla saggia vigilanza che ne deriva. Ascoltiamo, dunque, il richiamo della Chiesa, sempre provvida madre, così ben espresso da uno dei suoi figli più illustri: “Veglia con il cuore, veglia con la fede, con la carità, con le opere […]; prepara le lampade, bada che non si spengano […]; alimentale con l’olio interiore di una retta coscienza; rimani unito allo Sposo con l’amore, perché egli ti introduca nella sala del banchetto, dove la tua lampada non si spegnerà mai” (s. Agostino).