XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
La Parola di Dio oggi, in piena sintonia con il lavoro di vendemmia in corso nelle nostre campagne in questo tempo autunnale, ci parla della vigna, una delle immagini più suggestive e più care ai popoli della Palestina, per invitarci a riflettere sull’amore e la fedeltà di Dio per il suo popolo e sulla mancata corrispondenza di quest’ultimo. Tra i numerosi testi dei profeti dell’Antico Testamento che parlano di questa immagine, celebre è il commovente “canto della vigna” di Isaia, riportato oggi dalla prima lettura, in cui il Profeta parla del Signore come di un solerte agricoltore che ha prodigato ogni cura per Israele: lo ha scelto a suo popolo, lo ha liberato dalla schiavitù dell’Egitto, l’ha difeso dai nemici: “Il mio diletto possedeva una vigna…, l’aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti” (ivi, 1-2). Tutto faceva pensare a un ottimo raccolto, invece la vigna produsse “uva selvatica” (ivi, 4). Isaia termina dicendo che il Signore, deluso nei riguardi d’Israele per le sue infedeltà, decide di abbandonare la vigna a se stessa.
Il Vangelo della Messa riprende la tematica della prima lettura. Nella parabola dei vignaioli raccontata da Gesù, si coglie in modo ancora più chiaro il mistero della nostra salvezza: da una parte l’amore infinito di Dio, espresso nell’invio di molti profeti, e dall’altra il rifiuto costante d’Israele e la malvagità dei suoi vignaioli. L’estremo segno di amore compiuto dal Signore verso i vignaioli perversi fu di inviare il Figlio suo Unigenito. Nel mettere in atto questo ultimo tentativo, pensava: “Avranno rispetto di mio figlio!” (Mt 21,37). Ma i vignaioli, dopo aver bastonato, lapidato e ucciso ogni servo inviato dal padrone, nel veder comparire il figlio, non esitarono ad affermare: “Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l’eredità” (ivi, 38). E così fecero, macchiandosi del più nefando delitto della storia.
Ma nonostante la malvagità dei vignaioli omicidi, Dio resta fedele al suo patto d’amore con l’umanità. La sua vigna non sarà distrutta, ma verrà, invece, affidata ad altri, come dichiara espressamente Gesù nel Vangelo ai capi del popolo e agli anziani: “vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (ivi, 43). La Chiesa è il nuovo popolo di Dio che ha sostituito il popolo d’Israele. Però, benché Gesù abbia promesso stabilità perenne alla Chiesa, per cui nessuna forza, neppure quella infernale, riuscirà a vincerla, tuttavia i singoli membri di essa non sono immuni dai rischi dell’infedeltà, della durezza di cuore nei peccati, degli errori, e perfino delle apostasie. Nella storia della Chiesa non mancano episodi di infedeltà dei singoli, di popoli e di istituzioni. Anche in questi casi Dio interviene: se un popolo non corrisponde, si rivolge ad altri, se uno strumento non risponde, lo sostituisce con un altro.
Nella vigna è raffigurato non solo il popolo dell’Antica Alleanza, ma tutti noi. Ciascuno di noi è oggetto dell’amore paziente e fedele di Dio e delle sue cure amorose. Il Signore non ha risparmiato nulla per coltivare e rendere bella la vigna della nostra anima, malgrado molte volte, invece dell’uva buona produciamo quella selvatica. E’ il peccato il frutto selvatico della nostra vita. Per produrre i frutti che Dio aspetta da noi tutti i giorni, è necessario suscitare in noi un santo orrore per il peccato, anche per i più piccoli, perché questi pure, senza che ne accorgiamo, come le piccole volpi, devastano e distruggono un po’ alla volta tutta la vigna. Per comprendere la gravità del peccato, dovremmo spesso guardare al Calvario e ricordarci quanto sangue è costato sulla croce al nostro Salvatore! Dovremmo avere la sensibilità dei Santi che preferivano soffrire ogni pena, ogni tormento e dolore, piuttosto che commettere un solo peccato.
Padre Pio ha vissuto intensamente questa realtà. Ha pregato, ha sofferto fino a pagare con il proprio sangue i peccati dell’umanità. Considerava il peccato la più grande sciagura per l’uomo, ed era ciò che più lo faceva soffrire. Così si esprime in un suo scritto: “Ciò che mi angustia, mi affligge, mi addolora, mi mette l’animo alla tortura, mi rende perplesso, mi fa tremare la mano e la lingua non è la guerra solamente a cui andiamo incontro, quanto i peccati dei quali noi italiani ci siamo resi colpevoli davanti al trono di Dio” (Epistolario II, p.430). Riflettiamo seriamente su queste parole del nostro Santo e impegniamoci a combattere con coraggio il peccato e ogni forma di superficialità, di tiepidezza e di mediocrità spirituale. Rivolgiamoci spesso alla Vergine Immacolata perché ci aiuti a lavorare con fedeltà nella vigna del Signore, e a dare frutti sempre più abbondanti di santità attraverso una vita intensa di amore, di preghiera incessante e di carità operosa.