XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
I testi della Liturgia della Messa di questa domenica ci ricordano il mistero della sapienza di Dio sempre animata da desideri di redenzione e proclamano il primato della bontà divina che non contrasta con la giustizia umana, ma la trascende. Dio è infinitamente giusto e misericordioso; Egli offre il dono dell’eterna salvezza con la stessa generosa liberalità di grazie tanto ai chiamati della prima ora quanto a coloro che si convertono all’ultima ora.
La gratuità della salvezza aperta a tutti gli uomini fa parte dei pensieri del Signore che non coincidono con i nostri: “I miei pensieri - proclama Dio nella prima lettura di oggi per bocca del profeta Isaia - non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” (Is 558). L’uomo non ha nessun diritto di giudicare il comportamento di Dio, né può ridurlo sulla misura dei suoi pensieri o delle sue categorie di giustizia e di bontà. Dio sovrasta l’uomo immensamente più di “quanto il cielo sovrasta la terra” (ivi, 9). Il modo di agire del Signore è incomprensibile alla mente umana che deve accettarlo in umiltà, senza pretendere di indagarlo e giudicarlo.
Tale è l’insegnamento profondo del Vangelo odierno racchiuso nella parabola degli operai della vigna raccontata da Gesù: “Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna” (Mt 20,1). Il padrone si accordò con gli operai per un denaro al giorno e li mandò a lavorare. Uscì poi altre volte durante il giorno, fino al tramonto, in cerca di altri operai. Alla fine tutti ricevettero la stessa paga: un denaro. Allora quelli che avevano lavorato tutto il giorno protestarono, nel vedere che i chiamati per ultimi ricevevano la stessa paga. Ma il padrone rispose a uno di loro: “Amico, io non ti faccio torto: Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene” (ivi, 13-14).
Gesù racconta questa parabola per spiegare ai farisei il suo atteggiamento verso i pubblicani e i peccatori alla luce del pensiero di Dio: aprendo le porte del suo Regno anche a coloro che si convertono all’ultima ora, Dio non fa ingiustizia verso i chiamati della prima ora, ma dimostra solo la grandezza del suo amore incomparabile verso tutti. Nel mondo soprannaturale, tutto è dono della misericordia divina: la grazia santificante, la chiamata alla fede, l’ingresso nel suo regno; soprattutto la ricompensa eterna nella vita futura è per tutti un dono immenso e sproporzionato, rispetto a quanto meritiamo o abbiamo lavorato.
L’interrogativo che il padrone della parabola pone al servo: “Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (ivi, 15), fa comprendere che il motivo del malcontento dei lavoratori della prima ora non è tanto l’amore alla giustizia, quanto l’invidia per la generosità usata dal padrone verso quelli dell’ultima. L’invidia della grazia altrui è uno dei peccati più gravi. Quante rovine si sono abbattute sull’umanità ad opera di questo vizio tremendo! Per sradicare questa mala pianta dal nostro cuore, è necessario ricordarci spesso che nel piano divino di salvezza, ogni uomo ha un suo ruolo specifico e una missione personale da portare a termine e che, per questo, tutti, pur nella diversità di importanza dei compiti affidatici, siamo insostituibili davanti a Dio. Allora più che lamentarci della presunta ingiustizia di Dio verso di noi o perdere tempo a guardare con occhio cattivo le grazie altrui, dovremmo soprattutto ringraziare il buon Dio per i doni immensi che ci ha elargiti. Quale profonda gratitudine, quali sentimenti di viva riconoscenza dovrebbero sgorgare dal cuore di tutti noi, anche solo per il fatto di essere stati chiamati a lavorare nella vigna del Signore! La chiamata, in se stessa, è già un grande onore.
La gratitudine è un dovere di giustizia e il Signore la esige da noi. Più grandi sono i doni che riceviamo, più grande deve essere la nostra riconoscenza. Era tale il senso di gratitudine che Padre Pio avvertiva nel suo cuore per la grandezza dei divini favori ricevuti, da non poter contenere gli ardenti slanci di riconoscenza al Signore. “L’anima mia (…) – scrive al Padre spirituale - non può non sciogliere inni di benedizione senza fine ad un Dio sì grande e sì liberale. Sia benedetto un Signore di tanta bontà! Benedetta una sì larga misericordia! Sia lode eterna ad una pietà sì dolce, sì amorosa!” (Epistolario I, p. 654). Avere un cuore pieno di riconoscenza nei confronti di Dio deve essere il nostro atteggiamento abituale, come il canto del Magnificat nella vita della Vergine Maria. Il fulgido esempio del Santo del Gargano ci aiuti a essere sempre riconoscenti al Signore e a estirpare dal nostro cuore la radice stessa del peccato d’invidia che rende l’uomo geloso dei beni altrui e ingrato verso Dio.