XXIII  DOMENICA  DEL  TEMPO  ORDINARIO

 

            La Parola di Dio di questa domenica  propone alla nostra riflessione un delicato problema di coscienza: che cosa fare quando un cristiano pecca e offende in tal modo non solo Dio, ma anche la comunità ecclesiale? E’ meglio tacere o intervenire? Le letture bibliche del giorno mettono in evidenza chiaramente che ciò che conta è il recupero del fratello, fare di tutto per salvarlo e riportarlo sulla retta via. Dalla Sacra Scrittura sappiamo che Dio non vuole la morte del peccatore, ma la sua conversione, e che ogni anima è oggetto del suo amore infinito. Questa dunque deve essere anche la preoccupazione di fondo della Chiesa e di tutti i suoi membri.

            La prima lettura riporta il monito severo del Signore al profeta Ezechiele di vigilare come sentinella sulla condotta e la fedeltà del popolo ebreo. Dio gli ricorda questo suo grave dovere, dicendogli: “Se (…) tu non parli per distoglier l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te” (Ez 33,8). Queste inquietanti parole sono rivolte non solo ai profeti, ma anche ai pastori d’anime, ai superiori religiosi, ai padri e madri di famiglia, agli educatori. Su questi, prima di tutto, incombe la grave responsabilità di vigilare e correggere per portare a salvezza le anime a loro affidate. Dio chiederà stretto conto se una di queste anime perisce nel peccato. Ma questo dovere, anche se in misura minore, è di ogni cristiano. Tutti siamo chiamati in causa. Il cristiano non può essere indifferente, come se gli altri non lo riguardassero. In certe situazioni, tacere può essere anche una grave mancanza morale. Oggi, purtroppo, al riguardo, si va diffondendo, perfino tra i cristiani, il fenomeno della tolleranza a oltranza: in nome di una libertà e di un rispetto delle idee degli altri mal compresi, si tace sul male che viene compiuto anche pubblicamente. La correzione fraterna, come mezzo di conversione, è un dovere di tutti.

            A questa finalità sono orientate le tappe della correzione fraterna, di cui ci parla il Vangelo di oggi. La prima che Gesù ci suggerisce è di fondamentale importanza: “Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;” (Mt 18,15). La correzione fraterna è uno dei mezzi più efficaci per ricondurre il fratello sulla strada del bene, ma va fatta, anzitutto, a tu per tu, per salvaguardare la buona fama del colpevole. Purtroppo in pratica accade spesso il contrario: si preferisce parlare alle spalle, criticare e propalare ai quattro venti i peccati degli altri, anche i più intimi e segreti. A che serve mormorare sui peccati altrui, se poi nessuno li corregge? La correzione, inoltre, va fatta con la retta intenzione di volere soltanto il bene dell’altro, con un profondo senso di umiltà, che ci fa sentire peccatori come gli altri e con quella delicata prudenza che fa trovare parole e modi appropriati per non umiliare chi ha peccato.

            Se la correzione privata non ha esito, il Vangelo, sempre allo scopo di indurre il fratello a ravvedersi, suggerisce di ripetere la correzione davanti a due o tre testimoni. Nel caso, poi, che anche questo mezzo non abbia effetto, Gesù ci invita a informarne la Chiesa, a cui Dio ha dato l’autorità di “legare” e di “sciogliere”, ossia di riconciliare il peccatore ben disposto o di escluderlo dalla comunione di coloro che condividono la stessa fede. All’opera materna della Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, viene affidato l’ultimo accorato appello, perché colui che ha mancato riconosca la sua colpa e ritorni al più presto in seno alla comunità ecclesiale.

            Ma non dimentichiamo che le nostre ammonizioni, per quanto prudenti e rette, non potranno mai ottenere da Dio la grazia della conversione se non sono precedute e accompagnate dalla preghiera incessante; anzi, il più delle volte resta questa l’unico mezzo per ottenerla. Perciò è doveroso anzitutto pregare per quelle persone che Dio ha affidato alle nostre cure. La preghiera opera da sola con efficacia, anche se fatta in modo nascosto e silenzioso. Insieme all’offerta dei sacrifici, è l’arma più potente usata dai Santi per la salvezza e la conversione dei peccatori; ed è, quindi, la forma più alta di carità cristiana. Chi ha conosciuto Padre Pio non può non ricordare quel modo incessante di pregare che lo teneva sempre impegnato di giorno, di notte e in tutti i luoghi del Convento. Istituendo i “Gruppi di preghiera”, san Pio ha voluto trasmettere ai suoi figli spirituali tutta l’ansia del suo cuore di “pregare per tutti, (…); per i poveri peccatori, per risarcire tante offese che si fanno a questo divin Cuore” (Epistolario III, p. 862). Rivolgiamoci con fiducia filiale alla Madonna, Rifugio dei peccatori, perché conceda a tante anime traviate la grazia del pentimento del cuore e la gioia del ritorno nella famiglia dei credenti.

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