Domenica X del Tempo Ordinario
«La chiamata del Signore si deve seguire subito, altrimenti mettiamo in pericolo la nostra salute» (Epistolario III, p. 898)
Nel racconto della chiamata dell’apostolo Matteo, come nell’analogo episodio della chiamata dei primi Discepoli (Mt 4,18-22), due cose colpiscono particolarmente: da una parte la conoscenza che il Signore Gesù mostra di avere del piano divino su ciascun uomo che gli sta di fronte; dall’altra la prontezza con cui gli Apostoli rispondono «subito» (ivi) alla chiamata di Gesù.
Gesù conosce ciò che c’è nel cuore di ogni uomo perché è Dio. Solo Dio infatti conosce i pensieri del cuore, anche i più nascosti. In quanto Dio, seconda Persona della Santissima Trinità, Gesù conosce anche il disegno che il Padre ha su ciascuno di noi. Per questo con tanto sicurezza nel Vangelo chiama alcuni a seguirlo più da vicino. La voce di Gesù è la voce di Dio. Perciò è affascinante, irresistibile, penetra nel cuore dell’uomo e lo conquista. Gesù non forza la libertà dei chiamati. Ma come resistere all’invito della Sapienza divina incarnata?
E in effetti la risposta di quei primi Discepoli fu immediata. La prontezza di Matteo rispetto a quella degli altri Apostoli forse dal punto di vista umano è ancor più sorprendente. Mentre infatti Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni lasciano l’attività di pescatori, Matteo lascia il banco delle imposte, ossia un’attività molto proficua in prospettiva economica. Inoltre, leggendo il Brano evangelico non si nota il minimo rimpianto per la fortuna abbandonata così improvvisamente e radicalmente. Al contrario Matteo appare molto felice, tanto da offrire al Maestro un banchetto per festeggiare la sua scelta.
Questo episodio ci deve far riflettere sulla bellezza e sulla grandezza della vocazione alla vita religiosa e sacerdotale. Il Signore chiama ancora oggi uomini e donne generose a seguirlo in una vita di totale consacrazione a Lui. è una grazia di cui la Chiesa e il mondo hanno tanto bisogno e di cui devono ringraziare sempre «il padrone della messe» (ivi, 9,38). Se il Signore chiama è anche vero però che pochi purtroppo sono quelli che oggi rispondono con gioia, come facevano invece i primi Apostoli. I giovani sono distratti da tante altri messaggi, diversi da quelli del Vangelo e sicuramente inferiori a questi, se non addirittura dannosi. Non hanno interesse per gli ideali superiori della santità né della vita consacrata. Alcuni poi sono lenti, anzi lentissimi nel dire addio al mondo per legarsi totalmente al Signore.
Padre Pio una volta scrisse ad Antonietta Vona, sua figlia spirituale, incoraggiandola a seguire con tutte le sue forze la vocazione alla vita consacrata. Non solo, ma la esortò alla sollecitudine nel dire il suo sì allo Sposo divino: «La chiamata del Signore si deve seguire subito, altrimenti mettiamo in pericolo la nostra salute» (Epistolario III, p. 898). Chi non segue la vocazione divina si mette dunque in pericolo di perdere addirittura il Paradiso. Mette in pericolo, dice Padre Pio, la propria salvezza eterna. Questo è vero, perché non accogliendo la chiamata divina si perdono le grazie che Dio aveva disposto di comunicare ad un’anima per il conseguimento del suo fine ultimo. Padre Pio è molto forte in quanto dice ad Antonietta. Non lui, ma lo Spirito Santo di cui aveva in abbondanza i doni e che lo illuminava in modo particolare. Le dice infatti: «Lodo la tua risoluzione di volerti interamente consacrare a Dio nell’ombra del sacro chiostro. Se il tuo genitore dunque non ha assoluto e vero bisogno di te, procura ad ogni costo anche con la fuga di mandare ad effetto questo santo disegno». Padre Pio riecheggia qui le parole di Gesù: nessun amore umano, per quanto sacro e nobile come quello per i famigliari, può impedire o ritardare l’amore di una creatura per il suo Dio (cf Mt 10,37)
Al banchetto offerto da Matteo a Gesù si unirono anche pubblicani e peccatori. Queste persone erano considerate legalmente “impure” dai farisei. I pubblicani perché svolgevano un’attività a favore degli stranieri (i romani), per conto dei quali riscuotevano le tasse dagli ebrei. Erano perciò mal visti e considerati alla stregua dei peccatori pubblici. I farisei criticano il Maestro per essersi seduto ad una tale mensa con tali convitati. Ma Gesù risponde presentando se stesso come «il medico» (ivi, 9,12). Gesù è il medico divino che guarisce tutte le infermità di noi poveri peccatori.
Anche i chiamati, come Matteo, partecipano di questa missione salvifica e taumaturgica del Signore Gesù. Le parole «misericordia io voglio e non sacrificio» (ivi, 13) significano che il sacrificio non deve essere una pratica unicamente esteriore, altrimenti non ha alcun significato. Significa piuttosto che bisogna coltivare sentimenti di misericordia e di compassione con i poveri peccatori e con noi prima di tutto.